DIOR PRE-FALL 2025: L’ELEGANZA DEL FILO E DEL PENSIERO
- Sara Coppola
- 21 mag
- Tempo di lettura: 3 min
Un racconto di moda tra Kyoto e Parigi, firmato Maria Grazia Chiuri
C’è una parola giapponese, “shokunin”, che definisce non solo l’artigiano, ma colui che si dedica con devozione, disciplina e rispetto alla perfezione del proprio mestiere. È proprio da questo spirito che sembra aver tratto ispirazione Maria Grazia Chiuri per la collezione Pre-Fall 2025 di Dior, presentata con una sfilata intensa e poetica nella città di Kyoto, culla della tradizione tessile nipponica.
Un dialogo tra culture, che Chiuri – da sempre sensibile alle narrazioni femminili e alla valorizzazione dell’heritage artigianale – ha saputo orchestrare con delicatezza e maestria, unendo l’eleganza parigina della maison Dior con l’estetica raffinata e spirituale giapponese.
UNA SFILATA COME RITO: IL TEMPO DELL’ARTIGIANATO
Non una semplice passerella, ma un momento sospeso nel tempo. Il tempio Kiyomizu-dera, patrimonio UNESCO, ha fatto da cornice a una collezione che è quasi un atto di meditazione tessile. Chiuri non cade nella trappola del folklore, ma lavora su rimandi storici e artistici profondi, come l’influenza della pittura Ukiyo-e, le stampe su seta antica, i kimono cerimoniali e le armature dei samurai reinterpretate in chiave couture.
Le silhouette rimandano al vocabolario Dior più classico — la giacca Bar, le gonne midi, i plissé impeccabili — ma vengono arricchite da tagli asimmetrici, drappeggi sapienti e intarsi che ricordano la tecnica del sashiko, antico metodo giapponese di cucitura decorativa. Ogni capo sembra parlare una lingua antica, fatta di tempo, cura, pazienza. E bellezza.
DETTAGLI TECNICI: QUANDO IL SAVOIR-FAIRE È LA VERA FIRMA
Ciò che colpisce, oltre alla coerenza estetica, è la complessità tecnica della collezione. Tessuti naturali come la seta grezza, il cotone organico e la lana lavorata a telaio convivono con materiali innovativi ma sempre sostenibili, trattati con pigmenti naturali che richiamano le tonalità dei giardini zen: avorio, indaco, nero lacca, ruggine e oro antico.
Molti capi sono stati realizzati a mano in Giappone, grazie alla collaborazione con atelier locali e maestri artigiani — tra cui esperti del bingata (tecnica di tintura di Okinawa) e della tessitura Nishijin, usata tradizionalmente per gli abiti imperiali. Ogni elemento è frutto di un processo lungo e meticoloso: ricami a rilievo, broccati leggeri come nuvole, stampe eseguite su carta-washi poi trasposte sul tessuto con tecniche miste.
CHIURI E L’ARTE DEL PENSIERO SARTORIALE
Personalmente, credo che il lavoro di Maria Grazia Chiuri sia tra i più consapevoli e curati nel panorama della moda contemporanea. La sua direzione creativa va ben oltre l'estetica: costruisce narrazioni tessili in cui ogni capo è una storia, un incontro, una riflessione sulla femminilità, sulla memoria, sul valore del fatto a mano.
In un’epoca dove la velocità spesso sacrifica la qualità, Chiuri ci ricorda che l’artigianalità è un valore, non un lusso. Un patrimonio da coltivare, raccontare e far conoscere ai consumatori, affinché possano comprendere davvero la differenza tra un abito e un’opera d’arte da indossare.
TRA HERITAGE E MODERNITÀ: IL FUTURO È NEI DETTAGLI
Questa collezione è un ponte tra mondi, ma soprattutto tra tempi. Racconta che il futuro della moda non è nell’oblio del passato, ma nel saperlo riscrivere con rispetto e visione. Dior, attraverso la lente sensibile di Chiuri, si conferma custode di un’eleganza mai gridata, ma profondamente pensata, in cui l’heritage del brand si fonde con una modernità che non rinuncia mai alla bellezza del gesto lento, umano, irripetibile.
E forse è proprio questo che oggi la moda dovrebbe insegnarci: a rallentare lo sguardo, ad ascoltare le mani, a riconoscere il valore di ciò che non nasce per durare una stagione, ma per lasciare un’impronta.
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