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MILANO DESIGN WEEK 2025: quando la moda spreca energia (e strategia)

  • Immagine del redattore: Sara Coppola
    Sara Coppola
  • 23 apr
  • Tempo di lettura: 4 min

Tra installazioni spettacolari, storytelling poco centrati e obiettivi sfumati, la Settimana del Design si rivela un’occasione spesso mal sfruttata dai brand fashion. Ecco perché.

Milano, aprile 2025. La città si veste di idee, installazioni e luci al neon. I tram scorrono tra appuntamenti su invito e strade che diventano gallerie a cielo aperto. È la Design Week, crocevia di creatività e crogiolo di opportunità, dove sempre più brand – inclusi quelli della moda – vogliono esserci. Ma ne vale davvero sempre la pena?

Perché se da un lato è innegabile che l’appuntamento milanese offra visibilità e posizionamento, dall’altro è altrettanto evidente che molte delle strategie messe in campo durante la settimana rivelano falle importanti. Il risultato? Un’estetica spesso impeccabile, ma una narrazione vuota, incapace di generare valore.


FIERA DEL SALONE DEL MOBILE DURANTE LA DESIGN WEEK A MILANO

LA DESIGN WEEK COME PIATTAFORMA CULTURALE

È ormai noto che la Milano Design Week sia diventata molto più di un evento fieristico. Il Fuorisalone ha assunto la forma di un ecosistema diffuso dove i linguaggi del design, della moda, dell’arte e della tecnologia si contaminano, dando vita a una piattaforma culturale con un potenziale comunicativo straordinario.

Per i brand di moda, essere presenti alla Design Week non significa più “uscire dalla comfort zone”: è una mossa consapevole per presidiare un territorio che parla di senso, estetica e visione. È qui che si sperimenta, si racconta, si costruisce una reputazione non solo commerciale, ma valoriale.


MODA E DESIGN: SINERGIE DA COLTIVARE (MA CON METODO)

Le sinergie tra design e moda sono storiche, ma oggi acquisiscono una nuova rilevanza. La moda ha compreso il potere dell’esperienza, e il design — nel senso più lato del termine — diventa il linguaggio attraverso cui darne forma.

Installazioni immersive, esperienze phygital, ambienti multisensoriali: tutto parla il linguaggio della brand identity, o almeno dovrebbe. Perché il rischio è che, dietro la messa in scena, non ci sia alcuna regia narrativa.

Molti brand, nel desiderio di “esserci”, dimenticano il perché. E così dietro quell’apparenza, tra allestimenti grandiosi e cocktail a invito, si nasconde una certa superficialità strategica.

Succede quando il concept è debole, poco coerente con l’identità del marchio. Quando l’unico obiettivo è “fare qualcosa di visibile”, senza chiedersi se quello che si sta comunicando abbia davvero senso per il pubblico. Succede anche quando l’investimento è sproporzionato rispetto ai risultati, o quando si punta tutto sull’impatto visivo ma si trascura la parte più importante: il racconto.

Non basta un’ambientazione suggestiva per costruire una narrazione efficace. E non basta una presenza fisica per attivare un pubblico. Se manca il ponte tra l’esperienza reale e quella digitale, se non esiste un pensiero editoriale dietro i contenuti che si vogliono generare, il rischio è che tutto si esaurisca nel tempo di uno scatto.


sfilata di un brand presente alla design week a Milano

IL PUBBLICO: AMPIO, TALVOLTA COLTO, MA NON SEMPRE IN TARGET

La Design Week porta con sé un pubblico complesso e stratificato: architetti, designer, art director, studenti, buyer, giornalisti, creativi, turisti curiosi. Un pubblico non sempre colto, ma soprattutto molto (troppo) eterogeneo.

Proprio per questo è difficile da coinvolgere senza un’analisi approfondita e una narrazione autentica.

Senza una targetizzazione chiara, la comunicazione si perde. E se la tua installazione finisce per attirare il pubblico sbagliato, o se i contenuti online non parlano la lingua del tuo target reale, allora non stai solo sprecando energie: stai costruendo una narrazione disallineata, potenzialmente dannosa.

Se un gadget (per esempio uno sgabello) attira a sé una moltitudine di persone, non è una strategia di marketing ben studiata, se poi quella stessa moltitudine gira i tacchi appena ricevuto l’accessorio in regalo e non si degna nemmeno di affacciarsi a sbirciare da fuori l'installazione creata con tanto impegno e tanto denaro.

Una buona strategia di presenza alla Design Week parte da un’analisi chiara del proprio target e da una regia comunicativa che sappia creare connessioni vere, non solo stupore.


QUANDO LA STRATEGIA FUNZIONA: I BRAND CHE USANO LA DESIGN WEEK COME LABORATORIO NARRATIVO

Le attivazioni più efficaci sono quelle in cui il brand utilizza la Design Week come un laboratorio narrativo. Dove l’installazione non è fine a sé stessa, ma diventa un dispositivo semiotico che parla in coerenza con le altre forme della comunicazione aziendale.

È il caso di chi crea esperienze partecipative, chi costruisce spazi editoriali da abitare fisicamente e digitalmente, chi trasforma la settimana milanese in un momento di confronto interno, progettuale, creativo.

Un esempio tra tutti? Il brand THE NORTH FACE che con Not All Good Things Come To An End ha portato ad un pubblico mirato un’esperienza sensoriale e valoriale che ha generato una connessione tra il marchio e i suoi consumatori, realizzando, così, un legame forte e duraturo che porterà sicuramente risultati concreti.

Sono poche le aziende che lo fanno bene, ma quelle che ci riescono portano a casa un risultato che va oltre la visibilità: rafforzano la propria identità e creano relazioni. In questi casi, la Design Week si trasforma in una leva preziosa: non più una passerella, ma un’esperienza capace di lasciare il segno.


IL GRANDE SPRECO

Ma torniamo al punto. Perché, nonostante l’enorme potenziale, molte attivazioni sembrano più un esercizio di stile che una vera strategia di marketing?

Forse perché manca tempo. Forse perché si rincorre la visibilità a ogni costo. O forse perché, in alcuni casi, si è semplicemente dimenticato che comunicare è molto più che “mostrare”.

Il vero nodo, oggi, è l’assenza di un pensiero strategico integrato: accade troppo spesso che gli interventi durante la Design Week siano scollegati dalla strategia globale del brand.

Gli errori più frequenti? Concept deboli o incoerenti con la personalità del marchio, nessun collegamento tra attivazione fisica e strategia digitale, obiettivi non definiti, o limitati al mero impatto visivo, mancanza di follow-up: il pubblico viene intercettato, ma non attivato, budget spesi in scenografie e hospitality, ma non in contenuti editoriali.

Questa frammentazione porta a un dispendio enorme di risorse, sia economiche che creative, spesso senza un ritorno misurabile.


foto di un tram brandizzato durante la design week a Milano

ESSERE OVUNQUE NON E’ UNA STRATEGIA: LA PRESENZA ALLA DESIGN WEEK NON è' OBBLIGATORIA

La Milano Design Week è una piattaforma straordinaria. Ma per i brand di moda non dovrebbe essere un obbligo stagionale o un'esibizione muscolare. Dovrebbe essere una scelta strategica, parte di una narrazione più ampia, coerente e ben indirizzata.

Non è necessario esserci sempre. Ma quando si decide di partecipare, bisogna farlo con intelligenza creativa, visione strategica e onestà narrativa.

Perché in un’epoca in cui tutto si vede, ma poco resta, la vera sfida è comunicare qualcosa che abbia un senso e lasciare il segno.


Sara Coppola

the content sartorialist - copywriter specializzata in moda

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